“E l’Europa…?”, questa è la domanda che molti si sono fatti, e si stanno facendo in questi primi giorni di pandemia. Abbiamo chiesto all’onorevole Patrizia Toia (Eurodeputata) di rispondere alle nostre domande sulla difficile situazione che la “nostra Casa” sta vivendo.
L’Europa è stata colta impreparata dalla pandemia. Ma come si stanno comportando i principali stati europei? Non solo dal punto di vista medico sanitario, ma anche lavorativo. C’è una sorta di coordinamento o ognuno persegue la sua strada provocando una melodia stonata?
Purtroppo all’inizio della crisi del Coronavirus in Europa abbiamo assistito alla solita melodia stonata, che viene fuori quando le istituzioni europee comunitarie non hanno sufficienti poteri per prendere decisioni e i governi nazionali non si rendono conto di aver di fronte un problema globale, a cui non si può rispondere con le decisioni scoordinate di ogni singolo Stato membro. Per questo ho criticato la cacofonia iniziale delle decisioni nazionali sul blocco dei voli dalla Cina o sulle misure di quarantena per i viaggiatori. Poi c’è stato lo spettacolo indecoroso della guerra ad accaparrarsi le mascherine protettive, con Paesi come Germania e Francia che hanno tentato di imporre divieti all’export contrari alle regole del mercato interno. La ciliegina sulla torta, infine, è stata la decisione di alcuni Stati membri dell’Est, ma non solo, di chiudere le frontiere per proteggersi dai contagi, creando file di tir alle dogane e rischiando di bloccare la circolazione delle merci nel mercato interno e di far trovare ai consumatori del Continente gli scaffali vuoti proprio nel momento della necessità.
La Commissione europea ci ha messo un po’ per capire la portata della crisi e per capire che l’Europa ha bisogno di una guida centrale, anche se la sanità resta competenza degli Stati membri. Poi, spronato anche dalle richieste di noi eurodeputati italiani, il meccanismo delle istituzioni comunitarie si è messo in moto, sono stati tolti i divieti all’export di mascherine, centralizzando gli acquisti e creando scorte europee, sono stati fatti accordi per garantire la circolazione delle merci.
La cosa più importante è che sono state varate misure economiche che sono senza precedenti: innanzitutto la sospensione del Patto di Stabilità e il cambiamento delle norme sugli Aiuti di Stato, per permettere ai paesi di “pompare” liquidità e di adottare le misure necessarie di intervento. È stato molto importante anche il piano di acquisti straordinari della Bce per 750 miliardi che, sommati ai 250 già decisi da Draghi e ai 120 della settimana prima, portano l’ammontare del “bazooka” della Bce a 1120 miliardi: tra l’altro recentemente proprio Christine Lagarde ha dichiarato “nessun limite al nostro impegno”, riprendendo finalmente il “hatever it takes di Draghi. Tra le tante altre misure concrete che sono state varate, come un piano d’azione immediata contro il Covid-19 e il finanziamento per le ricerche su un vaccino, tante altre sono in discussione. In definitiva penso che le esitazioni iniziali della Commissione o della BCE potevano essere evitate, ma se confrontiamo la situazione con altre crisi recenti della storia europea, come quella dei rifugiati o come la crisi dell’euro, possiamo dire che nelle istituzioni centrali è aumentata la consapevolezza, conquistata di recente, di essere tutti sulla stessa barca. Purtroppo, meno consapevolezza c’è negli Stati Membri che non ancora tutti capaci di capire che le soluzioni si trovano a Bruxelles.
“Unità nelle diversità”, può dirsi anche “unità nelle avversità”?
La storia dell’Unione europea è stata forgiata dalle avversità e da catastrofi anche più grandi di quella che stiamo vivendo (penso alla guerra). È proprio nel momento delle avversità che ci possiamo riscoprire europei e comprendere fino in fondo il valore della solidarietà. Non dobbiamo farci fuorviare dalle polemiche e dalle melodie stonate dei governi a cui assistiamo ogni volta che l’Europa deve affrontare un problema globale senza precedenti e senza che esistano leggi e strumenti comunitari già rodati. Le divergenze sulle mascherine o sugli eurobond possono sembrare aspre e occupare molto spazio sui giornali, ma alla fine è proprio in questi momenti che il processo di integrazione europea può accelerare. Negli ultimi dieci anni l’Unione europea è stata data per spacciata più volte e ha subito la ferita della Brexit, ma sono proprio le discussioni di questi ultimi dieci anni, insieme alle tante riforme che abbiamo portato a termine, che ci permettono oggi di affrontare questa crisi con una consapevolezza e con degli strumenti che dieci anni fa sarebbero stati impensabili, dall’unione bancaria al programma di acquisti straordinari della Bce. Certo le difficoltà, le resistenze e gli egoismi sono fortissimi e possono ancora impedire questo salto in avanti dell’Europa. Ma io credo nella forza dei processi positivi e credo che, un po’ per convinzione, un po’ per necessità, si debba andare avanti insieme come europei e ci si debba dotare degli strumenti, anche finanziari, indispensabili per vincere questa “avversità” che non è solo di una parte dell’Europa ma è un’avversità dell’intero Continente.
Quali dovrebbero essere gli ambiti sui quali l’Europa dovrebbe avere più poteri?
In questi giorni, insieme ai colleghi del Gruppo S&D, abbiamo proposto un piano d’azione in 25 punti per combattere la pandemia. In queste proposte c’è implicita la richiesta di maggiori poteri europei, ad esempio per superare il tabù della mutualizzazione della garanzia sui debiti pubblici e la creazione di Corona-bond o, più in generale, di eurobond. Comunque finisca in Consiglio questo dibattito sugli eurobond, Corona-bond e MES, quello che è certo è che abbiamo bisogno di strumenti, anche nuovi, di politica fiscale europea e di garanzie europee per i debiti e gli investimenti dei Paesi. Vogliamo un’Europa che abbia competenza in materia sanitaria, che abbia un modello di welfare più forte e comune. Vogliamo un’Europa più presente nel sociale, un tema che per troppo tempo è stato appannaggio delle politiche nazionali, e chiediamo un sistema europeo temporaneo di reddito minimo garantito, un sistema di assicurazione contro la disoccupazione e una garanzia europea temporanea per l’occupazione, oltre a una vera e propria strategia anti-povertà. Guardando oltre l’emergenza del momento invece le grandi lacune dell’Ue, in termini di poteri, sono il fisco, che permette un inaccettabile dribbling fiscale delle multinazionali, e la politica estera, dove la regola dell’unanimità e l’incapacità di parlare con una voce sola ci rende vittime delle politiche aggressive di piccole potenze regionali. Infine, dovrebbe cambiare radicalmente il dibattito attuale sul bilancio comunitario, fermo intorno alla cifra ridicola dell’1% del Pil europeo e con i governi nazionali che non riescono a mettersi d’accordo per differenze di zero virgola. Penso che questa crisi del coronavirus è destinata a sconvolgere tutti gli equilibri. La Storia si è improvvisamente messa a correre e per stare al passo dobbiamo gettarci alle spalle le troppe esitazioni e i ritardi che abbiamo accumulato nel progetto di integrazione europea.
Tratto da “Il giornale dei lavoratori” – editoriale ACLI Milanesi