In una società come quella attuale sembra impossibile fermare la frenesia che contraddistingue le nostre giornate, ma questa pandemia ci ha obbligato a farlo, lasciando vuote le nostre città.
L’immagine del deserto, che apre il ciclo dei vangeli quaresimali, ci accompagnerà, quest’anno più che mai, fino a Pasqua.
Con un primo sguardo superficiale ci troviamo davanti a due tipi di deserto: il deserto delle relazioni il primo e il deserto dell’Io il secondo.
#iorestoacasa è lo slogan che dilaga sui social per contrastare l’avanzata del nuovo virus, ma proprio in questo slogan, che genera l’apparente “deserto umano”, bisogna trovare la fonte di una nuova solidarietà che Giovanni Paolo II definiva come principio della Dottrina sociale cattolica, che mira all’unione degli uomini tra loro ed è orientato verso la “Civiltà dell’Amore”. Nonostante la moltitudine di strumenti a disposizione l’idea di stare fisicamente senza l’altro per qualche settimana genera ansia e stimolo per trovare nuovi “mezzi di comunità”, per riscoprire la bellezza della famiglia e ritrovare momenti di intimità interiore che la società ultra-connessa rende sempre più rari, siamo connessi con tutto ma non con noi stessi.
Tre parole “abitano” le strade e le piazze vuote del primo deserto:
La prima è umanità perché questa “quarantena” ha riportato alle porte del cuore l’importanza dell’altro nelle nostre vite, portando ognuno ad attrezzarsi per sentirsi con il prossimo #distantimauniti (riprendendo l’hashtag lanciato da ministro Spadafora).
La seconda è carità. In pochissime ore si sono attivate tantissime iniziative a favore di coloro che sono in prima linea in questa “battaglia” e poi a favore di anziani e bambini. È sorprendente notare come la maggior parte di queste siano partite non da grandi associazioni ma dai singoli, per sottolineare ancora una volta, come scritto sul muro del Sermig a Torino, quanto la bontà sia disarmante.
Connessioni è la terza parola, poiché mai come in questo momento le relazioni umane sono la base per tenere il paese unito e coeso.
Queste tre parole riempiono anche il Deserto dell’Io che l’isolamento fisico ha creato e che questa quaresima senza eucaristia ha alimentato.
UMANITÀ che ci evidenzia la nostra fragilità, la debolezza, il sentirci tutti uguali davanti a questa sofferenza facendo sorgere in noi la voglia di Umanità vera, quella che riempie la vita di ognuno e che ci lega con Dio, il Quale, in questa sofferenza, ha deciso di mandare Suo Figlio per salvare il genere umano instradandolo sulla via della pienezza.
“Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la CARITÀ!”, il pensiero di San Paolo, nella prima lettera ai Corinzi, parlando della carità è il punto di incontro tra i due deserti. La carità è Amore e questa enorme parola che in cinque lettere racchiude tutto il messaggio evangelico è la base di questa attesa pasquale tanto strana quanto ricca di Amore per gli altri. “Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri” è una delle frasi più importanti dette da Gesù nei vangeli perché evidenzia come solo attraverso l’altro si può arrivare a Dio e soprattutto, facendo un passo in più, che consiste nel Dare ricordando che prima di tutto ci sono le persone, lo specchio dell’anima si schiarisce e ognuno si può “mettere a nudo” davanti a sé.
Il percorso quaresimale che accompagna ciascuno verso la Pasqua è personale, ma in una circostanza come quella attuale la CONNESSIONE con Dio è messa alla prova. Proprio dalla difficoltà deriva la forza della fede capace di superare le tentazioni della prima domenica quaresimale, diventando l’acqua viva della samaritana, abbracciandoci come un padre, aprendoci gli occhi come Gesù ha fatto con il cieco nato e illuminandoci con la gioia della risurrezione di Lazzaro per entrare trionfale nel nostro cuore e poi morire sulla croce pesante come il mondo intero ma capace di tenerci a galla.
È per questo che noi cristiani non affondiamo nelle tempeste del mondo, perché siamo portati dal legno della croce (S. Agostino)
Tratto da “Il giornale dei lavoratori” – editoriale ACLI Milanesi