I Giovani delle Acli pongono da sempre al centro propri percorsi formativi il tema del lavoro con un’attenzione al senso, al significato dell’attività lavorativa. Perché, in un tempo come questo, per un giovane è importante riscoprire la dimensione sociale del lavoro?
Come Giovani delle Acli sentiamo il tema del lavoro molto vicino, per vocazione, storia e tradizione. Oggi, più che in passato, è essenziale riportare al centro del dibattito pubblico – e soprattutto politico – il tema dell’occupazione e della creazione di un mercato del lavoro che sia più equo e sostenibile.
Troppo spesso per le giovani generazioni parlare di lavoro è un tabù. Giovani plurilaureati che si trovano a festeggiare, ad esempio, per uno stage che dovrebbe essere un percorso di formazione, un reale percorso di crescita personale ma purtroppo nel nostro Paese non è così. Ragazze e ragazzi che si formano per anni e il loro know-how non viene nemmeno preso in considerazione.
La ricorrenza di San Giuseppe, specialmente in un tempo emergenziale come quello che stiamo vivendo, non può che far riflettere un’associazione come la nostra sul ruolo che il lavoro ricopre nella vita di ognuno, non solo in termini di sostentamento, ma anche di realizzazione personale. Parlare di lavoro vuol dire parlare di sogni, di speranze, di progetti di vita; significa chiedere ad un giovane di interrogarsi sul suo domani per fare ogni giorno scelte che sembrano sempre più balzi nel vuoto.
Il grosso gap che dobbiamo necessariamente coprire sta proprio qui: lamentarci non è nel nostro stile, la lettera “L” della parola Acli sta proprio ad indicare “Lavoratori” e lavorare è uno stato d’essere: come giovani riteniamo essenziale muoverci nella direzione di quello che è un diritto sancito nel primo articolo della Nostra magnifica Costituzione. Non è il semplice gesto del Lavoro che riteniamo centrale per un giovane, quanto piuttosto l’esperienza formativa e l’importanza sociale che il gesto comporta. Non vediamo futuro, senza lavoro, e non vediamo futuro senza giovani. Parlare di giovani significa parlare di futuro, che può esistere solo passando attraverso l’oggi.
La pandemia che stiamo vivendo sta aggravando ulteriormente la situazione lavorativa dei giovani. Quale futuro?
La crisi economica, causata dal Covid-19, sta colpendo duramente il mondo del lavoro, specialmente le donne e i giovani. Un giovane occupato su sei (secondo i dati dell’ILO) durante la pandemia ha smesso di lavorare.
In Italia a fine 2020 la disoccupazione giovanile ha raggiunto quasi il 30% e la problematica dei NEET (Neither in Employment or in Education or Training) sta assumendo proporzioni preoccupanti facendoci posizionare ultimi in Europa con dieci punti percentuali sopra la media del continente.
Questi dati, alquanto significativi, sottolineano la necessità di soluzioni immediate, atte a favorire l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro, a condizioni dignitose, garantendone il futuro, da cui dipenderà quello della nostra società. Il rischio, nel caso in cui questo problema venga considerato meno importante di quanto lo sia nella realtà, è quello di esclusione sociale permanente, con rinuncia definitiva a solidi progetti di vita.
Il tema dell’occupazione giovanile non può risolversi senza passare da un dialogo europeo; la Commissione Europea, in una comunicazione al Parlamento Europeo del luglio 2020, scrive: “Lavorare insieme sarà fondamentale. La promozione dell’occupazione giovanile richiede una solida cooperazione tra tutti gli attori, in particolare le parti sociali, il settore dell’istruzione e le organizzazioni della società civile, nonché tra le autorità a livello regionale e locale”.
Ritengo quindi che, come per ogni situazione emergenziale, l’Unione possa effettivamente fare la forza: “uniti più di prima” oggi assume una connotazione particolare, in un tempo dove i nazionalismi vengono camuffati da finti patriottismi. Oggi, l’unica risposta che possiamo darci, nonché unico futuro che, come giovani, possiamo immaginare, si chiama Europa, l’unico nazionalismo nel quale possiamo rivederci, Mondo.
Dobbiamo convincerci, guardando alla Storia, che esistono due modi per uscire dalle crisi: tutti insieme, oppure in un percorso che inevitabilmente sfocerà in una nuova crisi. Ritengo, fermamente, che la risposta alla condizione lavorativa siano gli Stati Uniti d’Europa dove il costo della moneta, del lavoro e della vita siano allineate con le esigenze reali delle persone, quindi dei giovani; ritengo che, ancora una volta, il protagonismo della coesione debba essere strada maestra nella tempesta.
Che ruolo possono avere la formazione professionale per la crescita dei giovani e delle loro competenze anche attraverso esperienze significative di apprendimento per e nel lavoro?
La formazione professionale, nella nostra idea del domani, deve giocare un ruolo centrale. Nel nostro paese, purtroppo, la società divide i percorsi formativi in quelli di serie A e quelli di serie B, senza accorgersi che così facendo distrugge il futuro. Questa concezione “malata” pone il percorso Liceale prima, e Universitario poi su un piedistallo che condiziona le scelte scolastiche di ogni ragazza e ogni ragazzo, spingendoli spesso a fare percorsi solo per “rendere orgogliosi” i genitori, facendo prevalere questo, sui propri sogni e inclinazioni personali.
Ogni anno rimangono vacanti in ogni azienda molti posti di lavoro per mancanza di personale qualificato e questo dato, sommato al dato dei NEET e alla gravità della concezione classista delle offerte formative italiane, è la prova della necessità di riforme urgenti per la scuola e la formazione professionale
Serve un’offerta formativa, come più volte sottolineato da FORMA (associazione italiana degli enti di formazione professionale), capace di rispondere ad una domanda di competenze tecniche e specialistiche ad oggi, come descritto sopra, ancora in grande misura inevasa e di assicurare e sostenere lo sviluppo del sistema produttivo anche nelle regioni in maggior ritardo. Questo sarà possibile con un investimento concreto nell’apprendistato formativo di primo e terzo livello che consente sì il raggiungimento di titoli di studio (qualifica professionale, diploma professionale, specializzazione IFTS e ITS), ma prevede un’importante componente di tempo trascorso in azienda, lavorando per un reale apprendimento.
L’apprendistato deve poi diventare lo strumento principale per entrare nel mondo del lavoro, come è ben descritto dalla proposta “Stage e Apprendistato” promossa dallo “Stagista Frust(a)ato” e dai GD Milano che vede i Giovani delle Acli di Milano primi firmatari, prevedendo la fine degli stage gratuiti e di quelli extracurricolari, limitando la possibilità di utilizzare i tirocini formativi solo al corso di studi o ai mesi immediatamente successivi.
Alcuni gruppi dei Giovani delle Acli hanno posto l’attenzione sul tema durante la pandemia, vedendo in Next Generation EU una grande occasione. Cosa proponete per sostenere l’occupazione giovanile?
I fondi di Next Generation EU sono forse l’ultima grande possibilità per affrontare il tema dell’occupazione giovanile puntando su investimenti seri, per il rilancio di un mercato del lavoro più giusto, provando a ridare la possibilità di sognare, ad una generazione che nel domani vede grande incertezza.
A ottobre, come Coordinamento di GA Milano, abbiamo redatto un breve appello, presentato a tutti gli Europarlamentari Italiani, dal titolo “Un lavoro per tutti” ponendo l’attenzione sul fatto che troppe volte si sente parlare di “Giovani”, ma nel concreto si fa sempre poco per il loro futuro.
Nel documento abbiamo individuato la necessità che lo sforzo comunitario nei confronti dei giovani sia teso a implementare misure strutturali in favore del rafforzamento dell’istruzione e della formazione, del sostegno all’occupazione giovanile, della garanzia di condizioni di lavoro eque e sostenibili e del miglioramento dell’accesso alla protezione sociale.
Importante sarà ragionare sul rafforzamento di “Garanzia giovani” affinché questo strumento non si esaurisca nella creazione di opportunità lavorative di qualità, ma si dispieghi anche in un intenso sistema di prevenzione della disoccupazione e dell’inattività.
Fin dal suo inizio, come Giovani delle Acli, siamo stati parte di #UnoNonBasta portando avanti la campagna lanciata da Visionary Days e Officine Italia per chiedere una risposta concreta, tramite le azioni finanziate con il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), alle problematiche che incombono minacciose sul futuro delle nuove generazioni.
Cito questa esperienza perché è stata in grado di creare proposte concrete, scritte da giovani e ampliate grazie all’aiuto di tanti esperti e professori che hanno visto nella campagna una possibilità per il domani. Tematiche come quella dell’occupazione giovanile non si possono risolvere dall’alto o tramite progetti pensati da adulti che “giocano a fare i ragazzi”; ci vogliono tavoli intergenerazionali dove le nuove generazioni possano portare i propri interessi, le incertezze sul domani e una visione diversa del futuro: saremo noi giovani a pagare i debiti di questa emergenza, che ci sia concessa almeno la possibilità di esprimere un giudizio sull’utilizzo dei fondi (che nella maggior parte dei casi vengono utilizzati principalmente per fare debiti senza reali investimenti).
Concludo con la consapevolezza che Next Generation EU non potrà giustificare il proprio appellativo se non si mobiliteranno risorse imponenti anche a favore della vera “Next Generation”, che per l’appunto siamo noi giovani. Solo così potremo assistere ad una ripartenza realmente efficace.
Intervista rilasciata da Simone Romagnoli il 19 marzo 2021 per BeneComune.net